Stargate Gargano

30.12.2021

Lui non voleva. Non si era mai cimentato, non si riconosceva la necessaria spiritualità. Forse non gli andava di cercare sintonie con plebi superstiziose. Perché, con tanti bravi architetti in giro per il mondo, i pii monaci si erano incaponiti con lui? Dal giorno del cortese rifiuto, però, Renzo Piano ricevette ogni mattina un fax con la benedizione personale dell'economo provinciale dei frati minori cappuccini.

Ma che gentile. Che benevolo pensiero. Dopo quanto tempo cominciò a trovare che forse quei fax erano un pò persecutori - o almeno iettatori? Che un'insistenza di quel genere assomigliava - divinamente - a quegli abbracci mafiosi che sottintendono la sempre presente eventualità di un ritiro della benevola protezione?

Era da un pò che mi ripromettevo di andare a verificare l'esito di questa benedicente insistenza ma guidare non mi garba, son sempre duecentoottanta chilometri (mi sarebbe più leggero affrontare ginocchioni un chilometro di scalinate sante). Perciò mi sono imbucato in un pullman. Non si tratta di pellegrini ma di gitanti, pensionati della Guardia di Finanza (molto giovani alcuni, che i militari fino a poco fa potevano congedarsi presto). Oggi San Giovanni Rotondo, domani la Foresta Umbra, dopodomani costiera amalfitana. Meglio loro: con un prete per tour operator finirei rintronato da un loop di rosari.

Quando il pullman, dopo una prima fermata per il pedaggio (non autostradale ma doganale: balzelli soppressi ai confini nazionali e resuscitati nei paeselli, come nel medioevo) si arresta definitivamente, guardo su e intuisco forme verdastre da pressostatico. Disgustoso. Uno stadio del famoso architetto già lo conoscevo e l'ho rivisto poco fa, passando da Bari. Queste architetture moderne, bah, avrà ragione Carlo d'Inghilterra. Chi me l'ha fatta fare di venire in questo paesone orrendo in un giorno umido e grigio, che non può piovere solo perché dalle nuvole siamo già avvolti? E che idiozia inserirsi in una comitiva dopo averle evitate per decenni: non posso neppure tornare indietro, dirottare su un agriturismo o optare per un paesino sul mare. Vabbe', sarà la penitenza che tocca a chi si è arruolato tra gli atei devoti, quelli che non potendo non dirsi cristiani ma non riuscendo a credere si ritrovano ad auspicare il rifiorire della fede - negli altri - per arrestare il declino dell'Occidente. E che intendono vigilare perché i preti - e gli architetti - facciano le cose a puntino.

Lungo la rampa del colonnato comincio a riconciliarmi con l'architetto, anche se la mancanza di un robusto campanile scontenterebbe chi vuol contrastare i minareti a suon di più svettanti falli. La croce in pietra, però, costituisce una snella quanto possente supplenza. E la potenza di fuoco delle campane non viene meno sol perché si offrono in orizzontale al livello del sagrato, cioè del fedele, molto semplicemente accostate in otto multipli di campanile a vela. Sono ben alte, del resto, su paese e piana sottostanti.

Anche gli archi della facciata visti dal sagrato mi rincuorano. E mi piace che al posto delle stucchevoli colombe Mario Rossello abbia scolpito dei nervosi aquilotti. Questo sagrato è immenso, un mare di pietra che tocca il cielo (oggi i vapori) senza dover passare per l'orizzonte. Costeggiando l'esterno della chiesa continuo a essere disturbato dall'effetto palazzetto dello sport: verdastre pareti curve (si tratta del nobilissimo, tradizionale rame, in versione preossidata brevettata, ma in questa sistemazione sembra plasticume) e legno listellare in alto (come un parquet da campo di basket ribaltato). Però, siccome il percorso semicircolare è abbastanza lungo, faccio in tempo a rimbeccarmi: cosa c'è di più giusto? Cosa rappresenta la gloria, oggi? Una reggia? No di certo: la gloria è negli stadi. E' in mezzo agli stadi, sul podio, che si consacra la regalità, non in quel cornutaio di Buckingham Palace. Dov'è che raccoglie la gente il Papa in trasferta? E cos'era Padre Pio, se non un idolo delle folle?

Giungo alla vasca del battistero, che i gitanti, butterandola di monetine (unico collegamento col mercimonio che dilaga tutto intorno) sono riusciti a trasformare in una Fontana di Trevi. Di fianco, una porta stretta (allungato in verticale l'ingresso liturgico sembra più stretto di quanto non sia). Ma è l'ultima cosa stretta che trovi. Dopo ti si allarga la prospettiva. E l'animo (apprezzate la desinenza maschile, che mi permette di escludermi dai credenti). Questo posto desta meraviglia (il termine permette di tenere insieme lo stupore goloso dell'esteta e il moto di reverenza del devoto). Inchioda senza opprimere, spinge a inoltrarsi senza costringere. Gli archi sono maestosi però zampillano leggeri e festanti dal pilone centrale. Sei in un hangar ma come in un cantuccio, sei raccolto in te stesso e in comunione con gli altri, sei dentro la chiesa e fuori, sul sagrato, sei libero e protetto, sospeso e radicato come la croce di Pomodoro che veleggia violenta. Non si sfugge all'ossimoro quando un posto è come deve essere. Preferirei non eccedere in tanto prevedibile figura retorica ma è meglio perdere punti con i critici e guadagnarli in verità (che il proto non si azzardi a postare maiuscole).

Le silhouette dei fedeli contro la luminosità della vetrata sembrano di spettatori davanti al telone del cinema ma questo non toglie atmosfera (anche quella dei cinefili è una comunità di fedeli, raccolti e compenetrati, che si comunica con ostie di celluloide). Riposizionandomi sul pavimento in pendenza mi sento "a posto" in ogni zona: non ci sono angoli morti. Ovunque, da uno spicchio di vetrata, da un concio svettante, da un'ostia Guzzini, dalle ali di un puntone d'acciaio, sembra offrirtisi la grazia (non mi coglierete in fallo: tengo il dito ben lontano dal tasto maiuscole). Avanzo per godermi i particolari dell'ambone di Vangi ma quel concentrarmi sul singolo dettaglio artistico, così naturale in altre chiese, qui mi costa quasi uno sforzo. Tutto ciò che lo sguardo vuole è galleggiare in modo indefinito. Questo sito si dimostra a misura dell'uomo, nonché dell'Eventuale. Perdono importanza i dettagli tecnici che in altre circostanze mi avrebbero entusiasmato (la precisione di planarità delle facce dei blocchi con tolleranza 0,5 mm per campate fino a 50 metri con i blocchi della base grandi quanto una stanza, la necessità di un apposito parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici essendo la tipologia non contempolata dalle normativa tecnica italiana, record, singolarità e innovazioni d'ogni genere).

A volersi estraniare, a fare i criticoni, i filistei affezionati ai costruttori delle antiche cattedrali, quelli che "dopo il Bernini niente", si può sostenere che sembra un aeroporto (l'impressione è acuita da un ininterrotto flusso turistico che dall'ingresso del sagrato sciama verso un varco laterale all'ingresso liturgico, passando dietro ai fedeli che assistono alla funzione). Sì, questa chiesa è un luogo di transito, per Padre Pio le masse si scomodano. Del resto, cos'è un aeroporto se non porta coeli (come ogni chiesa che si rispetti)? Ma se un aeroporto è l'apoteosi del non luogo, questa è apoteosi del Luogo (questa maiuscola si può far passare, non appare troppo impegnativa).

Mentre abbandono il mirabile edificio, mi imbatto in una porta, nel corridoio antistante un ascensore. Silenzio. Adorazione Eucaristia. Spingo la porta e mi trovo davanti a una botta di sacro. Un nucleo inquietante, un monito che ti riduce al silenzio ben più di qualsiasi cartello. Un monolito kubrickiano, un meteorite da kaaba. E' il silenzio fatto corpo, solidificato. Un blocco nero di etnea pietra lavica che incastona un abbagliante tabernacolo d'argento. La piccola cappella è strutturata in modo tale che l'occhio e il pensiero non possano posarsi altrove. L'aria intorno vibra e non c'è foto che possa renderla. Sul lato opposto, a schermare la vetrata che dà su un corridoietto cieco, una sciatta tenda arricciata sull'esistenza della quale Renzo Piano dev'essere stato tenuto rigorosamente all'oscuro.

A questo punto posso stilare il certificato di collaudo: avendo risvegliato l'eccezionalmente pigra spiritualità dell'estensore, il conglomerato etereo della nuova chiesa risulta a norma. Risulta tuttavia anche sospetto, lontano com'è dalla spiritualità claustrofobica, sudata, labirintica, del vicino convento. Non sarà che questa incantevole astronave si limita a rappresentare l'idea di spiritualità di Renzo Piano, light, cosmopolita ed estranea al luogo, adatta a laici di buone letture e ricorrenti visitazioni artistiche? La fede qua è d'altro genere. Genere tosto. Non è un santo esemplare Padre Pio (no, non chiedeteci di chiamarlo San Pio, non ci viene naturale, al massimo ci intorciniamo in un San Padre Pio, via, ci penseranno le prossime generazioni. E poi un padre è molto più vicino e benefico di un santo ormai distratto dall'eccessivo fulgore dei cieli). No, anche se l'agiografia galoppa e i santini si ingentiliscono, le foto sono inequivocabili: nessuno riuscirà a liftare quello sguardo fosco che ha messo a disagio tante anime belle, quasi maligno sotto le sopracciglia alla Enrico Maria Salerno ultimo look. Non riusciranno a fare di quell'uomo (nella cui figura De Martino avrebbe rintracciato di sicuro tracce di culti pagani precristiani) un'ameba rassicurante con l'occhio rivoltato in su tipo macchietta di Verdone. Resterà sempre un Mistero la decisione di farlo interpretare in TV da Castellitto. Un giorno per i responsabili del cast degli sceneggiati italiani dovrà essere creato un Oscar apposito, quello del miglior ruolo sbagliato.

A me P.P. sta simpatico da quando una coppia di baciapile di paese se ne tornò indignata da un pellegrinaggio: "Ma non sono modi!". Che il frate sgamasse da lontano i frivoli e gli ipocriti, che molte fedeli uscissero piangenti e insultate, mi sembra un gran titolo di merito. Quando un militare che si è sempre vantato di non aver paura di niente e di nessuno ti confessa che è rimasto terrorizzato dal Suo sguardo, sei costretto ad ammettere che, santità o no, quel magnetico frate disponeva di un ecoscandaglio infallibile, tarato in micron, a cui mancava solo la stampante a colori. Un uomo rude, che c'aveva i guai suoi ogni notte (fossero anche solo i morsi dell'acido fenico o i rimorsi per l'impostura, come sostengono gli increduli). Un uomo sofferente, come i poveracci, come tutti.

Ma quello era il frate. Ora abbiamo il Santo. Ora contrizione e costrizione devono sfociare in spazi per la gloria. Vai, Renzo.

Avevo intenzione di ritornare qui dopo pranzo, ma nella comitiva si forma un partito pro Monte Sant'Angelo e ci tocca sottoporci a parecchi chilometri di tornanti secchi. Dopo di che l'autista ci dà meno di un'ora. Poco male: il paese l'avevo visitato anni fa, quando davanti al santuario c'era soltanto un vecchio guardiano rimbambito che, essendosi fatto mezzogiorno, ci aveva chiuso il cancello in faccia. Riprendiamo da quel mezzogiorno. Non è agevole visitare la cripta dell'Arcangelo Michele, si tratta pur sempre di una Porta Stretta. Non è questione di dimensioni. E neanche della calca dei fedeli incolonnati da addetti con gilè da protezione civile. Questo percorso, le rampe che ti portano giù e poi di lato e poi in un incredibile atrio napoletano con piante sul ballatoio e poi su verso il luogo terribilis, non ha nulla di casuale. Incombono secoli di devozione, anche pagana ed esoterica, si indovinano anomali fenomeni magnetici, alle spinte dei contrafforti gotici corrispondono controspinte psichiche. Appena dentro il cuore del Santuario, tenue impressione di consuetudine: l'altare barocco di fronte. Ma subito ti rendi conto dell'incongruità. Siamo fuori zona qui, fuori tempo, non c'è ibridazione che tenga. E non solo per la maestosità delle volte gotiche: a destra ti attende l'arcaico cuore del sacro. La grotta non si presta a indagini paleologiche, né d'altro genere. Sta. Se la nuova chiesa di San Pio è un aeroporto, questa grotta è lo stargate. Qui la spiritualità la tagli a fette, e non è una battuta riferita all'Arcangelo spadaccino (terribilis non è un aggettivo come tanti: a essere portata in processione è la spada, non il portatore, quel San Michele boccoluto del Sansovino che l'armatura non riuscirebbe a rendere marziale - ci riesce, invece, la spigolosa e fiammeggiante urna d'argento e cristallo di Boemia).

Il buttadentro mi invita a spegnere la macchina fotografica. Di solito me ne fotto ma adesso non ho nessuna voglia di trasgredire, anche perché non credo che riuscirei a catturare niente, e se invece ci riuscissi mi sembrerebbe di rubare. Difficile fare il visitatore, anche per uno abituato ad aggirarsi nei luoghi di culto con le mani in tasca e l'aria "fate largo, bizzoche, che mi precludete l'affresco".

Non è solo la pressione fisica delle comitive, l'insistenza dei vigili-sacristi che ti chiudono in un angolo. E' che nessuno riesce ad assumere l'aria svagata comune altrove tra pellegrini-gitanti. Per descrivere la sosta in questo sito necessita il ricorso a un verbo in disuso: ristare.  

Corriere della Sera -Dorso Puglia 16 dicembre 2004


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