L'insostenibile leggerezza del corpo

29.12.2021

Da più parti si va rimarcando l'attualità del pensiero meridiano, il gusto dell'interrogazione metafisica e le risorse del comico opposte al pensiero "freddo" utilitaristico, carico di urgenze delle cultura adulte e tragiche. Così lo delineava, molti decenni Jean Grenier: "Ci sono ingegni che vanno dritti alla loro meta... Ammiro la punta di queste intelligenze che niente smussa. Malgrado tutto non posso seguirle... il loro itinerario sicuro li conduce solo a una semplificazione". Quello meridiano è un pensiero non lineare, duttile, lento (curioso che quella stessa lentezza venga rivalutata da uno scrittore ceco come Kundera, per affinità di natura certamente non geoclimatica). Un pensiero che nasce dalla riscoperta del corpo: "a viver così vicini al corpo e col corpo, ci si accorge che esso ha una psicologia sua propria": per Albert Camus il corpo non è un veicolo neutrale: partecipa al pensiero, anzi lo determina. Avendo trascorso l'infanzia su "immense distese di melma e fango" (le rive bretoni dell'Oceano, che corrode i corpi come "statue di bronzo che hanno dimorato a lungo in mare") Grenier non aveva potuto riappropriarsi davvero della fisicità. Per il suo "spirito roso", approdato troppo tardi al Mediterraneo, il corpo restava un'aspirazione. Da coltivare nei dipinti e nella statuaria greca e romana o, più direttamente, nella gaia animalità delle popolane e dei forti giovanotti di Trastevere ("che gioia scrollarsi come un cane all'uscita dall'acqua, dopo tante chiese, musei, monumenti e curiosità"). Da pensare come misura: "Lo spazio? E'la curva di una spalla, l'ovale di un viso. Il tempo? La corsa di un ragazzo da un capo all'altro di una spiaggia". 

Grenier godeva della luce "che a Orano crea da sola tutto il paesaggio" ma non ne era imbevuto, si limitava a contemplarla. Il Mediterraneo, questo mare dagli orizzonti netti che inchioda al corpo, il suo allievo Camus l'aveva avuto in sorte subito: "cadere nella sabbia, abbandonato al mondo, rientrato nella mia pesantezza di carne e d'ossa, intontito di sole, con uno sguardo, di tanto in tanto, alle braccia ove la pelle, asciugando scopre, quando l'acqua scivola via, la peluria bionda e il polverio di sale". Solo questa fisicità, che passerà nella canzone d'autore anni sessanta, poteva dargli "l'orgoglio della sua condizione di uomo". C'è anche un tempo, poi, per creare, perché "la bellezza isolata finisce per fare le grinze", ma il pensiero risulta un'applicazione della pienezza del corpo. A volte viene rifiutato, come un optional: "che bisogno ho di parlare di Dioniso per dire che mi piace schiacciare le bacche del lentisco sotto il naso?". 

La riappropriazione del corpo, dunque, all'origine del pensiero meridiano. Eppure Brancati, altro grande scrittore "solare", pensa che il corpo si opponga al pensiero. Nella dicotomia delineata in Paolo il caldo, il corpo distoglie non solo dal pensiero razionale, come vogliono i due francesi, ma anche dall'attività creativa: nella persona del barone Paolo Castorini si combattono due contrapposte forze ereditarie, l'intelletto e la sensualità. Quando (sempre) prevalgono i geni della sensualità, Paolo non può - letteralmente - pensare. Un appartamento vuoto non lo invita allo scrittoio ma al letto: le opere dell'ingegno gli sono precluse. Brancati (come già Camus: "Non lo sappiamo bene, noi uomini del Sud, che il sole ha la sua faccia nera?"), ha avvertito il lutto dentro il candore più abbacinante che esista: "nonostante la sua intensità, o forse a causa di questa, la luce del sud rivela nella memoria una profonda natura di tenebra... e quando si dice ch'è accecante si vuole forse alludere... a certi guizzi di buio... a certi squarci sulla notte cupa". E dalla "ripresa buia" di quella luce "dalla quale derivano apprensione e lussuria" l'uomo del Sud viene confinato nel corpo "fino a sentire l'ala della stupidità sfiorargli il cervello". Il pensiero non è meridiano, prospera nelle brume, è roba per gente "sempre abbottonata fino al collo" (così vede Camus i popoli del Settentrione, senza lasciarsi ingannare dai "noiosi sermoni dei naturisti, questi protestanti della carne" ben diversi dagli algerini che, semplicemente, stanno "bene al sole"). 

Ma Carmelo Bene ci ha ricordato che noi non "abbiamo" un corpo: "siamo" un corpo. Il corpo è quindi, ovunque, unica fonte del pensiero. Singolare proposizione. Abnorme. Infatti la naturale conseguenza di questa concezione non sta nello sforzarsi di pensare, ma nell'evitarlo. Il compito del più mediterraneo dei corpi, quello salentino, è il "depensamento". "Essere finalmente il più cretino": quello che per l'ultimo Brancati era minaccia, per Bene è il percorso della salvezza. Fino al compimento dell'"inorganico". Siamo di fronte a un'esasperazione o a un capovolgimento delle precedenti intuizioni meridiane? Questo pensiero così aereo, in lega leggera, è davvero destinato a tramutarsi in piombo (il piombo non ancora ossidato splende allo stesso modo dell'alluminio) e a sprofondare nel mare nostrum?

Stilos 13 gennaio 2004


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